Calza dei morti: una tradizione pugliese di memoria, affetto e gratitudine

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Quando ero bambino ad Apricena, in provincia di Foggia, la notte tra il 31 ottobre e il 1° novembre non era affatto legata a maschere o zucche intagliate. Era la notte della calza dei morti: un dono che arrivava in silenzio, come se fossero proprio i defunti a tornare per vegliare su di noi, portando dolci ai bambini che si erano comportati bene e carbone a chi aveva bisogno di una “lezione”.
Era un momento sospeso, intimo, profondamente legato alla casa e agli affetti, molto più simile a un “Natale dell’autunno” che a una festa macabra. E per noi bambini aveva un fascino indescrivibile: un dono che veniva “dall’aldilà”, ma senza paura.

Origini antiche della calza dei morti

La calza dei morti ha origini molto più antiche del cristianesimo e affonda le sue radici nelle tradizioni agricole e pagane dei popoli del Mediterraneo. Nelle campagne, si credeva che nella notte tra la fine di ottobre e l’inizio di novembre le anime dei defunti tornassero nelle loro case per salutare i vivi, osservare la famiglia e assicurarsi che i legami non fossero stati dimenticati.

In segno di accoglienza, venivano lasciati sul tavolo pane, frutta secca, vino o fichi: un’offerta per nutrire simbolicamente le anime in visita. Col passare dei secoli, questo gesto di ospitalità si trasformò in un dono ai più piccoli: dolci e frutta secca come “premio” trasmesso dai defunti attraverso la memoria dei vivi.

Il significato non era materiale, ma spirituale: ricevere qualcosa “dai morti” significava sentirli ancora parte della famiglia.

La festa dei morti in Puglia: non paura, ma presenza

A differenza di Halloween – che nasce come rito di protezione dagli spiriti e si è poi trasformato in festa giocosa – in Puglia e in tutto il Sud Italia il rapporto con i defunti era di vicinanza, non di difesa.

La festa dei morti in Puglia non invitava a travestirsi o a scacciare le anime, ma a riconoscerle e accoglierle. Si insegnava ai bambini che i morti tornavano per benevolenza, non per spavento. Questa usanza aveva una forza educativa enorme: ricordava che le radici sono parte della nostra identità, e che chi ci ha preceduti continua a camminare con noi, anche se in modo invisibile.

I dolci dei morti e il loro significato simbolico

I doni nella calza non erano casuali. Molti dolci legati al 1 e 2 novembre hanno una forte carica simbolica:

  • Le “ossa dei morti”: biscotti duri come il ricordo eterno degli antenati.
  • Le “fave dei morti”: un richiamo alla tradizione romana, dove le fave erano considerate cibo per le anime.
  • Il melograno: simbolo di fertilità e vita che continua oltre la morte.
  • Le castagne: frutto autunnale di protezione e calore domestico.
  • La frutta secca: dono della terra che resiste al tempo, come la memoria.

Accanto ai dolci, talvolta veniva lasciato anche un pezzo di carbone, che non era una punizione vera e propria, ma un invito a “correggersi” e migliorare nel corso dell’anno.

Apricena e la Capitanata: quando la tradizione era vita quotidiana

Ad Apricena, questa usanza era viva fino a pochi decenni fa. Nelle famiglie contadine, la notte tra il 31 ottobre e il 1° novembre era fatta di piccole attese: i nonni raccontavano storie dei parenti scomparsi, non come fantasmi ma come presenza affettuosa.
La mattina dopo, noi bambini correvamo a cercare la calza, che spesso veniva appesa vicino al camino, alla finestra o lasciata accanto al letto. Non era un dono “portato” da un personaggio mitico come Babbo Natale, ma un gesto di continuità familiare: i morti che “passavano” per portare amore, protezione e memoria.

Questa forma di educazione leggera, ma profondissima, insegnava che la famiglia non finisce con la morte, e che la gratitudine verso chi ci ha preceduti è parte dell’identità del territorio.

Perché questa tradizione è stata dimenticata

La calza dei morti è scomparsa lentamente a partire dagli anni ’90, per tre motivi principali:

  1. americanizzazione delle feste: Halloween è arrivato prima nei media, nelle scuole e nei supermercati;
  2. rottura del legame intergenerazionale: i nonni non vivono più nella stessa casa e la memoria non viene più trasmessa a voce;
  3. spersonalizzazione del cibo: i dolci non erano solo regali, ma simboli del raccolto e dell’abbondanza della terra.

Quando la festa è diventata consumo, ha perso la sua anima.

Perché oggi vale la pena riscoprire la Calza dei morti

Riscoprire la calza dei morti non significa rifiutare Halloween, ma recuperare la nostra forma mediterranea di ricordare i defunti: più intima, più umana, più radicata nella terra e nella famiglia.

È una tradizione che:

  • educa al rispetto delle origini,
  • crea memoria emotiva nei bambini,
  • ricostruisce il filo tra passato e presente,
  • restituisce al cibo un senso di appartenenza e gratitudine.

Il legame col cibo vero e con la terra

Non è un caso che le usanze dei morti ruotassero attorno al grano, al pane, ai fichi secchi, alle mandorle: erano i prodotti che tenevano in vita le famiglie e che rappresentavano la natura stessa del dono. Per le comunità contadine, offrire dolci ai bambini significava trasmettere un gesto di cura ereditato dagli antenati.

È lo stesso principio che ancora oggi guida il modo in cui, nella nostra terra, coltiviamo, trasformiamo e condividiamo il cibo: non come prodotto, ma come eredità culturale.

Un filo che non si spezza

La calza dei morti non era soltanto un ricordo dell’infanzia: era un modo di dire che i morti non sono “altrove”, ma restano con noi nelle cose semplici, nella continuità dei gesti, nei sapori che passano di mano in mano come un testimone silenzioso.

Forse oggi questa tradizione può tornare viva proprio perché abbiamo bisogno di radici: non come nostalgia, ma come direzione. Ricordare da dove veniamo significa sapere dove vogliamo andare. E il cibo, nelle nostre terre, è sempre stato il ponte più potente tra chi c’era prima e chi custodirà il futuro.

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